L’8 marzo di ogni anno sembra ormai ricordarci un semplice e sostanziale paradosso: l’importanza crescente delle donne nella nostra società, affiancata alla (purtroppo crescente) disparità di trattamento in molti ambiti della vita sociale e lavorativa. Ancora oggi le donne hanno maggiore difficoltà rispetto agli uomini a trovare lavoro, a permanere nel mercato del lavoro, ad intraprendere percorsi di carriera e posizioni di vertice pari a quelli a cui accedono gli uomini, ad essere retribuite nella stessa misura dei colleghi a parità di mansioni esercitate.
Si sostiene spesso che al consolidarsi dei divari di genere nel nostro Paese (ma nel resto dei Paesi industrializzati e ovunque nel mondo la situazione è identica) abbia fortemente contribuito, fra i vari fattori, un costante minore accesso delle donne ai vari livelli di istruzione. I dati, però, indicano il contrario: in Italia, nella popolazione tra 25 e 64 anni, il 65,7% delle donne ha almeno un diploma, a fronte del 60,3% tra gli uomini. Inoltre, nella medesima classe d’età, tra le donne il 23,5% possiede una laurea, contro il 17% rilevato tra gli uomini. In poche parole oggi, e anche nel recente passato, le donne sono più diffusamente istruite rispetto agli uomini, cercano di accedere a corsi di studio con maggiore intensità rispetto al genere maschile, aspirano e ottengono una laurea in misura consistentemente maggiore di quanto lo facciano gli uomini.
Una volta entrate nel mercato del lavoro, però, per molte la situazione cambia: i percorsi di carriera diventano più complessi e accidentati ed un indicatore di diseguaglianza che vale per tutti è il differenziale salariale, sistematicamente più basso per le donne rispetto agli uomini in qualunque settore produttivo.
Il problema è evidente anche nel settore dell’ingegneria e, più in generale in ambito STEM (Science, Technology, Engineering, Mathematics). Anche in questo caso, però, occorrerebbe sfatare alcuni luoghi comuni. E’ vero che attualmente in Italia (in Europa la situazione è simile) il numero di donne con un titolo terziario in ambito STEM è considerevolmente più contenuto rispetto a quello degli uomini: in Italia, considerando la popolazione di giovani adulti (25-34 anni), tra le donne solo il 16,6% ha un diploma/laurea nelle discipline STEM, a fronte del 34,5% rilevato tra gli uomini.
Tuttavia, anche in questi ambiti, da tempo si assiste ad una ascesa costante del numero delle donne. In Italia, ad esempio, se consideriamo le laureate magistrali nelle aree disciplinari STEM, nel 2013 erano 14.813, nel 2015 erano 15.136, nel 2017 sono state 17.893, nel 2021 sono state 20.059. Tra il 2013 ed il 2021 (ultimo dato Eurostat disponibile) in Italia il numero di laureate magistrali nelle aree disciplinari STEM è aumentato del 35%, tra gli incrementi più elevati in ambito europeo: in Germania l’incremento è stato del 30%, in Francia del 24,2%, in Austria del 28%, in Belgio del 33% e nel Regno Unito intorno al 20%.
Anche se si guarda al solo settore dell’ingegneria, la presenza femminile cresce in Italia a livelli considerevoli. Nel 2010 le donne che hanno conseguito una laurea magistrale in ingegneria sono state 3.140; nel 2021 sono state 8.267. Nel 2010 le laureate magistrali in ingegneria costituivano il 23% del totale laureati in ingegneria, mentre nel 2021 esse costituiscono 30,8%. In Europa ci poniamo attualmente in una posizione intermedia tra i principali Paesi dell’Unione: tra il 2015 ed il 2021, secondo i dati Eurostat, il numero di laureate magistrali in Ingegneria in Italia è aumentato del 23,2%, In Germania del 23,3%, in Belgio del 12%; in Francia e in Spagna il ritmo di crescita sarebbe diminuito mentre nel medesimo periodo Paesi come l’Austria, l’Olanda e l’area scandinava hanno registrato incrementi intorno al 40%.
In Italia si è assistito anche ad un apprezzabile incremento della quota di donne iscritte all’Albo degli ingegneri: erano il 9% del totale nel 2007 a fonte del 17% attuale.
In questo scenario in cambiamento, almeno nei numeri, nulla sembra mutare nel mercato del lavoro e nei divari di genere che esso manifesta. Per tutti valgono i differenziali salariali di genere, presenti in tutti i settori ed a tutti i livelli. Nell’ambito del lavoro professionale il dato è eclatante: dagli ultimi disponibili, risalenti al 2021, tra gli ingegneri iscritti ad Inarcassa, gli uomini registrano un reddito medio di 44.459 euro, mentre le donne presentano un reddito medio di 26.083 euro con un gender paygap quasi del 48%. Gli architetti iscritti ad Inarcassa registrano un reddito medio annuo di 33.525 euro a fronte dei 20.748 euro registrati dalle colleghe, con un paygap pari al 38%. Il gender paygap di tutti i liberi professionisti iscritti alle Casse private si attesta attualmente, secondo i dati Adepp, al 44%.
Le ragioni di queste differenze sono molteplici. Nel mercato del lavoro, specie in Italia, pesa considerevolmente il fatto che le donne, più degli uomini, debbano cercare di conciliare i tempi di lavoro con quello delle cure parentali, oltre alla sostanziale mancanza di servizi alle famiglie, di asili nido e altre attività diffuse che permettano, soprattutto alle coppie più giovani, di conciliare meglio il lavoro e le esigenze della famiglia. Queste spiegazioni valgono tuttavia fino ad un certo punto. Soprattutto sulle differenze di trattamento salariale non possono più essere addotte giustificazioni per le quali le donne scontano una sorta di ritardo in termini di qualificazione delle competenze rispetto agli uomini. Il recupero dei ritardi è sempre più veloce e, se guardiamo a comparti iperspecialistici come l’ingegneria e l’intero campo delle STEM, in un futuro molto prossimo ci saranno sempre più donne qualificate. Ad un trend crescente di donne sempre più motivate e sempre più qualificate non corrisponde una flessione dei differenziali salariali, ma anzi il problema sembra acuirsi e andrebbe affrontato probabilmente con politiche e strumenti nuovi di sostegno alle famiglie ed alle donne.
“Assistiamo da tempo – afferma Angelo Domenico Perrini, Presidente del CNI – ad un incremento costante delle donne laureate in ingegneria e delle iscritte all’Albo degli Ingegneri. Le laureate in ingegneria sono oggi poco più del 30% del totale a fronte di poco più del 20% di venti anni fa. Si tratta di una crescita lenta seppure costante, ma il problema resta un altro, ovvero la sostanziale differenza di trattamento che il mercato del lavoro riserva ancora oggi a uomini e donne. Il differenziale salariale è l’elemento più evidente ed il problema si acuisce nella libera professione, anche in ambiti in cui a tutti sono richieste competenze alte, frutto di studi complessi, come nel campo dell’Ingegneria. Le richieste del CNI per il rispetto delle norme sull’equo compenso sono uno dei tanti strumenti per garantire la qualità delle prestazioni, ancor più, probabilmente, le donne che registrano forme di disparità di trattamento salariale. Ma la vera partita per la parità dei diritti si gioca su altri piani, a partire da migliori incentivi e servizi soprattutto per le famiglie e per le donne più giovani che dovrebbero poter condividere le attività relative alle cure parentali. Da questo punto di vista, anche le Casse di previdenza private potrebbero essere maggiormente protagoniste di una stagione che sostenga le nuove generazioni di donne lavoratrici”.
“In occasione dell’8 marzo – dice Ippolita Chiarolini, Consigliera del CNI – vogliamo ribadire l’importanza dei contributi femminili al mondo del lavoro anche per incentivare la riduzione dei divari di trattamento sul lavoro, tra uomini e donne. Nell’ambito della libera professione in Ingegneria, una donna guadagna mediamente il 47% in meno di ciò che guadagnano gli uomini. Eppure tutte le statistiche inequivocabilmente segnalano che in Italia le donne, anche in Ingegneria, concludono prima degli uomini il ciclo di studi universitari e che il numero delle donne laureate sta aumentando in maniera consistente; insomma, in diversi ambiti molto specialistici e complessi siamo determinate e motivate a lavorare bene e a crescere, forse molto più degli uomini. Vorremmo che questo 8 marzo non fosse il momento in cui si fa retorica sull’importanza del ruolo della donna oggi; vorremmo piuttosto strumenti e servizi nuovi capaci di innescare un reale cambio di passo che ponga fine ad una subalternità della donna nel mercato del lavoro, che non giova a nessuno”.
Fonte: Comunicato stampa CNI